Il placebo è un composto inerte verso il quale confrontare l’efficacia di un nuovo farmaco negli studi clinici. I risultati clinici ottenuti con il placebo riducono l’efficacia del farmaco, se posso ottenere analoghi risultati con un placebo, perché somministrare un farmaco che spesso ha effetti collaterali?
E’ evidente che, negli studi clinici, si cerchi in tutti i modi di ridurre l’effetto placebo, mentre gli omeopati si sentono quasi offesi se si riferisce ad un effetto placebo il risultato clinico ottenuto con formulazioni dove gli inquinanti normalmente presenti nell’acqua hanno concentrazioni notevolmente superiori ai principi attivi iper-diluiti. Ad esempio la dicitura 6CH indica che il prodotto è stato diluito 6 volte 1 a 100. Partendo da una soluzione con concentrazione 1 g/l, si arriva a 1012 g/l= 1 pg/l.
Eppure, se capissimo i meccanismi dell’effetto placebo, identificheremmo un ottimo farmaco, poco costoso, privo di effetti collaterali.
Quanto incide l’effetto placebo negli studi clinici.
Per le patologie psicosomatiche si arriva anche a una risposta al placebo in oltre l’80% dei partecipanti allo studio, ma, è ovvio…non essendo vere malattie è chiaro che un risultato clinico possa dipendere anche da altre variabili.
Però, negli studi clinici su epilessia circa un 30% risponde al placebo, ossia ha una riduzione delle crisi epilettiche superiore al 50% mentre assume il non farmaco. Nella sclerosi multipla si ha una riduzione di un 20% delle lesioni con il placebo. Negli studi sui farmaci antidolorifici, l’effetto placebo scompare se somministro il naloxone che blocca le endorfine, a dimostrazione che anche l’azione analgesica del placebo è data dalle endorfine.
Negli studi clinici sull’artrite reumatoide, in media, un 30% risponde al placebo, ma se considero solo i pazienti che hanno avuto pregresse esperienze positive con i farmaci, la risposta al placebo è data da un 83% di questi pazienti. Sembrerebbe quasi che l’artrite reumatoide fosse una patologia psicosomatica!
Nel casi di Parkinson grave viene proposto il trapianto di neuroni dopaminergici, dato che i sintomi sono dovuti ad una scarsa quantità di dopamina cerebrale. Anche in questo tipo di intervento è riportata una risposta al placebo che è….un intervento chirurgico simulato. Ossia il paziente p rasato, anestetizzato, portato in sala operatoria, ma…il trapianto non viene eseguito e il miglioramento clinico correla con la quantità di dopamina cerebrale, come nei soggetti trapiantati, ma, non solo, è confrontabile con i risultati ottenuti con somministrazioni orali di levodopa e apomorfina.
Se questo intervento chirurgico simulato fosse fatto da un santone in una tenda si parlerebbe di stregoneria, invece viene fatto da medici che indossano la divisa chirurgica, in veri ospedali, in vere sale chirurgiche.
Non ditemi che non siete curiosi di capire come tutto questo sia possibile.
Per comprendere ci vengono in aiuto gli studi sperimentali sulle droghe di abuso. Topi sono resi gradualmente dipendenti di dosaggi medio alti di droga, ad esempio cocaina. Droga che ricevono quotidianamente, dopo che sono posti in un’apposita gabbia, e alla quale non danno più alcuna reazione. Se la stessa quantità di droga gli viene somministrata nella gabbia di dimora, muoiono di over dose, se, invece, sono messi nella gabbia di somministrazione e la dose non è somministrata, hanno crisi di astinenza. La magia si chiama condizionamento ambientale. Il topo impara che, dopo essere spostato nella gabbia di somministrazione, riceverà un agente che perturberà il suo equilibrio inibitorio/eccitatorio cerebrale. Pertanto, impara a prepararsi a ricevere questo agente modificando l’equilibrio inibitorio/eccitatorio. Se la droga gli viene somministrata senza che abbia contro sbilanciato il sistema inibitorio/eccitatorio, risulta fatale. Se dopo che si è sbilanciato, la droga no arriva, c’è la crisi di astinenza.
Il condizionamento ambientale dell’uomo è sicuramente maggiore di quello del topo, ed è per questo che un alcolista può resistere senza bere anche mesi, quando è ricoverato, ma riprende velocemente a bere, dopo che torna a casa.
In conclusione le persone che rispondono al placebo hanno riposte identiche a coloro che necessitano del farmaco e questo ci fa capire come la guarigione dipenda maggiormente da una nostra capacità di rispondere, che dipende dalla forza del microbiota.
Nel 300 aC, Ippocrate sosteneva che il corpo umano fosse animato da una forza vitale tendente per natura a riequilibrare le disarmonie apportatrici di patologie e che la malattia e la salute di una persona dipendono da circostanze insite nella persona stessa, non da agenti esterni o da superiori interventi divini; la via della guarigione consisterà pertanto nel limitarsi a stimolare questa forza innata, non nel sostituirsi ad essa.
1 Morison RAH et al. Placebo responses in an arthritis trial. Ann. Rheum. Dis (1961), 20, 179
2 Oken BS. Placebo effects: clinical aspects and neurobiology. Brain 2008; 31: 2812-2823